Controlli a distanza: il punto tra privacy e diritto del lavoro

Lo Statuto dei lavoratori prevede il generale divieto di controlli a distanza dei dipendenti, ma, allo stesso tempo, all’art. 4, consente l’utilizzo, tra gli altri strumenti, di impianti audiovisivi a fini di controllo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per ragioni di tutela del patrimonio aziendale.

La materia è stata riformata – come noto – dal Jobs Act, che ha integrato le norme previgenti ed in particolare proprio l’art. 4 (al secondo comma) con l’introduzione di un riferimento ai controlli sugli strumenti impiegati per rendere la prestazione lavorativa e di registrazione degli accessi e delle presenze, a cui non si applicano i vincoli generali di cui al comma primo.

Di conseguenza, gli “strumenti” (tecnologici, per lo più) impiegati dal lavoratore per rendere la propria prestazione lavorativa – quali computer, tablet, cellulari, telepass – possono divenire fonte di controllo a distanza, da parte del datore di lavoro, anche senza il previo accordo con i sindacati o l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.

In proposito non è da trascurare anche la questione della liceità della geolocalizzazione sull’auto aziendale in uso ai dipendenti, che è stata affrontata, di recente, dalla giurisprudenza italiana (si veda da ultimo Corte d’Appello di Roma nella Sentenza n. 641/2021).

L’utilizzo degli strumenti di controllo a distanza è – in sostanza – tendenzialmente legittimo solo a determinate condizioni e nel rispetto di ben specifici vincoli e impostazioni, che andiamo di seguito a esaminare.

Videosorveglianza

Dal punto di vista giuslavoristico, il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali unitarie (“RSU”) o aziendali (“RSA”) devono sottoscrivere un accordo collettivo contenente la regolamentazione del funzionamento dell’utilizzo dell’impianto di videosorveglianza.

Se l’accordo non è raggiunto, o nel caso in cui in azienda non siano presenti RSU o RSA, il datore di lavoro deve rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro territoriale per chiedere un’autorizzazione all’installazione dell’impianto, depositando un’istanza motivata. L’autorizzazione dell’ispettorato oppure l’accordo sindacale sono necessari anche se l’impianto entra in vigore nelle fasce orarie in cui l’azienda è vuota, ed è irrilevante che l’impianto installato non sia funzionante.

Dal punto di vista della privacy, sul tema, è previsto che il titolare del trattamento, in conformità con il principio di responsabilizzazione di cui all´art. 24 GDPR, debba valutare la conformità del trattamento che intende effettuare alla disciplina vigente, verificando il rispetto di tutti i principi in materia nonché la necessità di effettuare, in particolare, una valutazione di impatto ex art. 35 del GDPR oppure attivare la consultazione preventiva ai sensi dell´art. 36 del GDPR.

I dipendenti devono essere certamente portati a conoscenza dell’installazione dell’impianto grazie a un comunicato o a un cartello informativo (“informativa minima”) e anche grazie ad un’informativa estesa contenente l’indicazione e dati di contatto del titolare del trattamento e del Data Protection Officer (“DPO”), se presente, nonché le finalità del trattamento.

Nello stesso senso, anche l’impostazione e il direzionamento delle telecamere che formano l’impianto non può trascurare i principi di minimizzazione e limitazione del trattamento, pertanto ponendo grande attenzione a cosa, e soprattutto chi, viene ripreso (ad esempio, escludendo la pubblica via per quanto possibile e riducendo il campo di copertura alle sole parti dell’azienda utili alla finalità prevista).

Buona regola, infine, è quella di istruire per iscritto tutti i soggetti (interni o esterni, come la società che svolge la vigilanza diurna o notturna) dei vincoli e delle necessarie attenzioni alla riservatezza che essi devono porre nel visionare, dal vivo come in remoto, le immagini raccolte dall’impianto di videosorveglianza.

Gps sui veicoli in uso ai dipendenti

Nelle ipotesi in cui la possibilità di individuare in un dato momento la posizione dei veicoli, e, di conseguenza, dei lavoratori, mediante sistemi di localizzazione, possa rivelarsi utile per soddisfare esigenze organizzative, produttive, nonché per esigenze di sicurezza sul lavoro, devono essere rispettate sia la disciplina sulla protezione dei dati personali, sia la normativa a tutela dei lavoratori, tenuto conto anche che la localizzazione dei veicoli potrebbe comportare una forma di controllo a distanza della loro attività.

L’esplicito richiamo effettuato dall’art. 4 co. 3 dello Statuto dei lavoratori alle disposizioni di cui al Codice Privacy (ora da intendersi, naturalmente, anche al GDPR), in particolare a quello relativo all’obbligo di rilascio dell’informativa, classifica, di fatto, l’attività di geolocalizzazione come trattamento dei dati personali, qualora la rilevazione dei dati dal dispositivo consenta di raccogliere informazioni sui singoli dipendenti – identificati o identificabili – e lo sottopone a tutte le relative disposizioni.

Il GDPR introduce, a seguire, una serie di principi generali, che costituiscono la base di riferimento per la realizzazione di ogni tipologia di trattamento di dati personali realizzata dal titolare del trattamento, compresa la rilevazione della posizione del dipendente in orario di lavoro mediante l’utilizzo di dispositivi GPS che possano integrare gli estremi del controllo a distanza e che muovono dai principi di “privacy by design” e “privacy by default”.

Per il conseguimento di ciascuna delle finalità legittimamente perseguite dal datore di lavoro, che riveste la qualità di titolare del trattamento, possono formare oggetto di trattamento, mediante sistemi opportunamente configurati, solo i dati pertinenti e non eccedenti: tali possono essere, oltre all’ubicazione del veicolo, la distanza percorsa, i tempi di percorrenza, il carburante consumato, la velocità media del veicolo.

Nel rispetto del principio di necessità, inoltre, la posizione del veicolo non deve essere monitorata continuativamente dal titolare del trattamento, ma solo quando ciò si renda necessario per il conseguimento delle finalità legittimamente perseguite.

Geolocalizzazione di smartphone, tablet e dispositivi mobili

Il principio di necessità, ai sensi del quale la posizione del veicolo può essere monitorata solo quando ciò si renda indispensabile per il perseguimento delle finalità previste, si applica allo stesso modo alla localizzazione dei dispositivi mobili in possesso dei dipendenti.

Bisogna considerare, in questo caso, anche che, ad esempio, lo smartphone è, per le sue caratteristiche, inevitabilmente destinato a “seguire” la persona che lo possiede, indipendentemente dalla distinzione fra tempo di lavoro e tempo di non-lavoro.

Il Garante ha però chiesto, in successivi provvedimenti sul tema, a maggiore tutela dei lavoratori, di posizionare sul dispositivo un’icona che indichi che la localizzazione è attiva e di configurare il sistema in modo tale da oscurare la posizione geografica dei dipendenti decorso un dato periodo di inattività dell’operatore sul monitor della centrale operativa.

I dati raccolti dal sistema possono essere consultati dagli addetti alla centrale operativa e dalla direzione informatica della società muniti di apposite credenziali e profili autorizzativi, in particolare per l’estrazione dei dati.

A ulteriore tutela dei dipendenti deve essere escluso l’utilizzo dei dati per finalità di controllo dei lavoratori o per scopi disciplinari. La società deve fornire, in ogni caso, ai dipendenti, un’idonea informativa che consenta l’esercizio dei diritti.

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