La volgarizzazione del marchio (e altre vicende)

Sono molteplici i fattori da cui dipende il successo di una impresa.

Tra questi, un ruolo decisivo è svolto dal marchio e dalla sua capacità di imporsi sul mercato per rendere i prodotti di cui si fa promotore immediatamente identificabili nel mare magnum di quelli in commercio.

Proprio in virtù della loro capacità di proporsi alla collettività, i marchi sono oggetto di una particolare regolamentazione fondata sulla importantissima esigenza di assicurare, fin dal principio e per tutta la durata della loro utilizzazione, che questi conservino i requisiti che la legge prescrive come essenziali per la loro esistenza.

Particolarmente importante risulta allora la questione della cd. volgarizzazione del marchio, quel “caso-limite” che ci permette di comprendere come non sempre l’eccesso di popolarità di un marchio, ed il suo inserimento “intensivo” nella vita dei consumatori, comporti un effettivo vantaggio per l’impresa che se ne serve.

Il profilo normativo

Tanto nella normativa del Codice civile quanto in quella del Codice della Proprietà Intellettuale, D.Lgs. 30/2005, il marchio viene descritto come quel segno distintivo idoneo a distinguere i prodotti e i servizi resi da un’impresa da tutti i prodotti e servizi resi da altre imprese, operanti nel medesimo settore.

Perché sia valido, la legge richiede che soddisfi tre requisiti: novità, liceità e capacità distintiva, per questa intendendosi l’idoneità di assolvere alla fondamentale funzione di rendere l’impresa che se ne avvale e i prodotti da questa commercializzati facilmente distinguibili da prodotti affini riconducibili ad altre imprese.

È proprio il requisito della capacità distintiva che impone agli operatori economico-commerciali il divieto di usare quali propri marchi segni generici, che non permetterebbero al consumatore di comprendere immediatamente a quale impresa si ricolleghi il prodotto o servizio oggetto del loro interesse.

Per questo suo ruolo nodale, il marchio gode di una specifica tutela ottenibile mediante la sua registrazione (art. 20 D.Lgs. 30/2005): tra i vantaggi, l’importantissima possibilità di usare in maniera esclusiva il marchio, vietando dunque qualsiasi sua utilizzazione non autorizzata.

Sebbene il marchio registrato rappresenti un marchio più efficacemente tutelato, particolare rilevanza assume nella prassi commerciale anche la figura del marchio di fatto, marchio non registrato che tuttavia assolve pur sempre alla funzione di rendere conoscibile e distinguibile l’impresa sul mercato, nel rispetto dei requisiti di novità, liceità e capacità distintiva.

Per quanto non possa formare oggetto di utilizzazione esclusiva, il marchio di fatto è tutelato dall’ordinamento, in caso di successiva registrazione da parte di altra impresa, nei limiti dell’uso che di esso veniva fatto prima della registrazione (cd. preuso).

Il marchio “troppo popolare”

Ma cosa succede quando un marchio diviene così diffuso e utilizzato da diventare, nell’immaginario e nell’espressione collettiva, il prototipo assoluto che identifica un determinato prodotto?

Il fenomeno, noto come volgarizzazione del marchio, descrive quella particolare condizione in cui finisce per versare il marchio quando perde la sua capacità distintiva, finendo per descrivere un genus piuttosto che un singolo e ben individuato prodotto o servizio.

Per quanto indubbiamente sia il sintomo di un successo commerciale, il marchio volgarizzato è un marchio esposto ad un grandissimo rischio: la decadenza, ex art. 13, comma 4 e 26, comma 2 lettera a) D.Lgs. 30/2005.

Le cause possono essere diverse: azioni inadeguate od omissioni compiute dal titolare, ma anche fatti indipendenti alla sua volontà.

Il trait d’union tra le varie ipotesi è la percezione, viziata, del pubblico nei confronti del marchio e del prodotto o servizio al quale si riferisce: non più “uno specifico rotolo di carta assorbente prodotto dalla Scottex”, ma “un qualsiasi rotolo di carta assorbente, da chiunque prodotto”.

Esempi famosi di tale fenomeno sono i marchi, ormai termini di uso comune, “Scotch”, “Rimmel”, “Kleenex”, un tempo tutti riferibili a ben precisi prodotti di ben determinate case produttrici.

Il caso più eclatante riguarda il famosissimo “Walkman”, marchio registrato dalla Sony.

Il termine diventò così popolare in Austria da essere utilizzato per riferirsi a qualsiasi registratore portatile di musica- a prescindere dalla casa produttrice e, dunque da Sony- tanto da comportare nel 2002, ad opera di una pronuncia della Corte Suprema Austriaca, la decadenza della Sony da tutti i diritti connessi all’uso di tale marchio in territorio austriaco.

Come tutelarsi, anche dopo la registrazione del marchio?

Si possono assumere diversi efficaci accorgimenti per scongiurare le conseguenze negative della volgarizzazione:

  • accompagnare sempre il marchio registrato con il simbolo della registrazione;
  • depositare il marchio in tutti i Paesi di potenziale interesse attuale e futuro;
  • attuare campagne pubblicitarie e strategie di marketing adeguate;
  • ribadire spesso che il marchio “è un marchio registrato”;
  • richiedere, nel caso di menzione in una enciclopedia o in un dizionario, che il marchio venga espressamente menzionato come registrato (art. 12 Reg. 2017/1001).

Esempio virtuoso di impresa sensibile alla tutela del marchio è rappresentato dalla maison fiorentina Gucci: in una recentissima pronuncia (n. 27217/2021 credits: Sole 24Ore) la Prima Sezione Civile della Suprema Corte ha ribadito, proprio mediante l’accoglimento con rinvio della doglianza dell’illustre ricorrente, l’esistenza in favore dei cd. marchi notori di una tutela rafforzata, che va ben oltre il semplice rischio di confusione tra i prodotti (art. 20, lett. e) D.Lgs. 30/2005).

La tutela, riservata ai soli titolari di marchi caratterizzati da un elevato stato di rinomanza, consente di impedire che altri registrino o usino segni uguali o simili, anche per prodotti o servizi non affini a quelli per cui il marchio era stato registrato (tutela ultra-merceologica).

La ratio è chiaramente impedire che attraverso fenomeni come la diluizione o corrosione del marchio (la diffusione cioè di una moltitudine di marchi, tutti simili a quello notorio) e la volgarizzazione, il consumatore si trovi nella condizione di non riuscire più a distinguere i singoli marchi, finendo per associare quello “notorio” ad un prodotto generico anziché ad uno specifico.

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