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Regolamento operativo per i dipendenti: una buona pratica aziendale

La gran parte degli standard di compliance – e, in particolare, le ISO – prevedono tra i propri requisiti quello di una regolamentazione – scritta e formale – dei processi che ciascun operatore aziendale è tenuto a seguire e rispettare. Anche in assenza di conformità ISO, tuttavia, è buona norma – ed anzi, come vedremo, assolutamente necessario – prevedere un regolamento operativo interno per tutti coloro che accedono ai servizi e strumenti aziendali.

L’uso (e abuso) di tali strumenti, infatti, può comportare importanti conseguenze per il patrimonio aziendale, la stessa immagine e il “brand” del’impresa, per non tralasciare la (in)utilizzabilità di elementi di prova a propria tutela in sede giudiziale.

Una recente decisione dell’Autorità Garante italiana ci offre allora lo spunto per approfondire il contenuto e l’utilità di questo documento operativo, che deve essere necessariamente pratico, efficace e ben scritto, oltre che rispettoso della normativa vigente in ambito lavoristico e privacy.

La vicenda

Con un provvedimento datato 10 febbraio 2022 il Garante si è pronunciato in merito al reclamo proposto da un ex dipendente di una società (di cui era Amministratore Delegato, e da cui è stato licenziato), per violazione della disciplina privacy posta in essere dal datore di lavoro dopo la cessazione del loro rapporto.

Il tema, particolarmente delicato, è quello dei limiti entro i quali una società può lecitamente trattare i dati dei suoi dipendenti, in questo caso ex-dipendenti, senza ledere la loro legittima aspettativa alla riservatezza.

Oggetto di contestazione, tra gli altri, è stata la mancata cancellazione da parte del datore di lavoro dell’account di posta elettronica aziendale in uso (e intestato) al dipendente, e ciò senza che alcuna comunicazione informativa sia stata fornita dalla società in merito alla possibilità che la stessa potesse, in determinati casi e a certe condizioni, accedere all’account di posta elettronica aziendale del lavoratore, anche dopo l’interruzione del rapporto.

Va ricordato in proposito che, per costante giurisprudenza sia del Garante che di Cassazione, la casella di posta elettronica assegnata da una azienda ad un proprio dipendente è, a tutti gli effetti, uno strumento di lavoro ed in quanto tale è astrattamente accessibile da parte del datore di lavoro, a condizione però che il dipendente sia debitamente e preventivamente informato in maniera espressa di tale possibilità mediante l’adozione di un adeguato regolamento aziendale, oltre che di idonea informativa ai sensi del GDPR.

Il Jobs Act, attraverso la riscrittura dell’art. 4, L. n. 300/1970 – cd. Statuto dei lavoratori– prevede tale possibilità, quella cioè di operare controlli su tutti quegli strumenti di lavoro utilizzati dal dipendente per rendere la propria prestazione lavorativa anche senza previo accordo con le rappresentanze sindacali, anche laddove essi siano tecnicamente suscettibili di configurare un “controllo a distanza” (come nel caso di posta elettronica, appunto). Resta tuttavia fermo l’obbligo per il datore di lavoro di fornire adeguata informazione circa le modalità e l’uso degli strumenti di controllo, nonché l’obbligo di rispettare la normativa privacy.

Proprio entro gli stretti confini del meccanismo “informativa-controllo” anche la Suprema Corte di Cassazione e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, di recente rispettivamente con le pronunce n. 26682/2017 e n. 61496/2018, ammettono che il datore di lavoro possa legittimamente controllare la posta elettronica del dipendente e, se del caso, dell’ex lavoratore.

L’obiettivo è quello di provare a contemperare due diverse ma importantissime esigenze, quella del datore di lavoro di accedere ad informazioni necessarie per la gestione della propria attività e di effettuare controlli (cd. difensivi), e quella del lavoratore a veder tutelata la riservatezza della propria corrispondenza.

La decisione del Garante

Nel caso esaminato dal Garante non è stato tuttavia riscontrato un equilibrio nel binomio “informativa-controllo”: addirittura, dagli atti emerge come non fosse disponibile a livello aziendale alcun documento definitivo da poter sottoporre ai dipendenti in termini di informativa, ma solo una bozza (probabilmente dimenticata in qualche cassetto o cartella del server aziendale).

A nulla in proposito sono allora valsi i chiarimenti della società secondo i quali spettava proprio all’ex dipendente – in qualità di amministratore – l’adozione del regolamento aziendale, concernente, tra l’altro, anche la regolamentazione dell’uso dell’account di posta elettronica e la nomina di un amministratore di sistema competente a visionare i messaggi in entrata negli account aziendali per conto della società.

E’ solo quest’ultima, in qualità di Titolare del trattamento, che aveva l’onere di procedere conformemente alla normativa, non potendo addossare alcunchè alla persona fisica ricoprente il ruolo di AD: ferma restando infatti una eventuale responsabilità civile del dipendente nei confronti dell’azienda, il Garante chiarisce che la responsabilità derivante dall’inadempimento dell’obbligo di informativa ex artt. 5, par.1 lett a) 12 e 13 GDPR – ricade pur sempre sulla società.

Pertanto, acclarata e dichiarata l’illiceità del trattamento, alla luce dei poteri di controllo previsti dall’art. 58, par.2 GDPR, il Garante ha disposto nei confronti della società una sanzione amministrativa pecuniaria di ben 10.000 euro.

Come costruire un regolamento operativo valido ed efficace?

È in casi come quello evidenziato dal provvedimento del Garante che risulta evidente l’importanza, in ambito aziendale, di dotarsi di un disciplinare tecnico sull’utilizzo degli strumenti di lavoro elettronici, di una policy interna i cui vengono dettate le prescrizioni a cui i lavoratori devono attenersi nell’utilizzo degli strumenti elettronici aziendali loro assegnati.

Come farlo, in pratica? Sicuramente tramite una revisione degli strumenti utilizzati in concreto, e non in astratto, seguita dalla costruzione di un testo semplice, chiaro e possibilmente “a schede” o comunque organizzato per tematiche omogenee.

I fiumi di testo, come più volte hanno precisato sia il Garante italiano che gli altri omologhi europei e l’EDPB, a poco servono e poco trasmettono ai dipendenti, quanto a precetti semplici e chiari da porre in pratica nel comportamento tenuto ogni giorno al lavoro.

Non va dimenticato che questo “regolamento” si deve coordinare con altri testi aziendali, quali il Codice etico, il Codice disciplinare, le procedure interne predisposte a vario titolo (es. D. Lgs. 231/2001) e, non ultimo, l’eventuale “Regolamento Smart Working“.

Una breve e certamente incompleta “checklist” di contenuti del Regolamento interno potrebbe essere allora la seguente:

  • una sintetica descrizione della struttura aziendale (referenti diretti, funzioni rilevanti)
  • una scheda relativa alle definizioni utilizzate (es. “Titolare del trattamento” è l’azienda stessa)
  • chiarimento sui livelli di riservatezza delle informazioni aziendali
  • uso delle credenziali di accesso ai servizi (riservatezza e non diffusione)
  • come utilizzare i dispositivi aziendali in generale, tra cui computer, smartphone, chiavette usb ed altro
  • uso lecito della rete internet
  • focus particolare sulla casella e-mail (sia personale che, eventualmente, di gruppo)
  • una “social media policy” che contemperi la libertà di espressione del singolo con la tutela dell’immagine aziendale
  • una “clean desk policy” riguardo all’uso di supporti materiali e cartacei
  • istruzioni specifiche sulla gestione delle informazioni presenti su stampe e fotocopie

Non va poi dimenticato che, accanto alle istruzioni “positive” nei confronti dei dipendenti e collaboratori dell’impresa, è opportuno anche chiarire con precisione il quadro dei sistemi di controllo – ove presenti – e delle sanzioni disciplinari conseguenti alla violazione delle indicazioni fornite.

In ultimo, ma non meno importante – come ha evidenziato lo stesso provvedimento del Garante – tale regolamento va efficacemente portato all’attenzione di tutti, sia inviandolo a mezzo e-mail e/o rendendolo disponibile mediante affissione, che attraverso incontri di formazione e spiegazione dei suoi contenuti.

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Photo by Nick Loggie on Unsplash