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Le pratiche commerciali scorrette nei provvedimenti dell’AGCM

Una pratica commerciale “scorretta” viola i principi fondamentali previsti dal Codice del Consumo e quelli in materia di comunicazioni commerciali.

Ciò potrebbe avvenire (più o meno consapevolmente) per massimizzare i ricavi di un negozio online; o potrebbe accadere semplicemente per mancanza di chiarezza delle informazioni presentate su un sito; potrebbe infine essere idonea a fuorviare, condizionandolo, il comportamento del consumatore.

È una tematica posta spesso all’attenzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”): è allora utile tenere sempre in particolare considerazione gli orientamenti e le posizioni prevalenti, mostrate dall’esperienza e dalle decisioni contenziose, non solo per evitare verifiche ed eventuali provvedimenti ma anche, e soprattutto, per offrire ai consumatori un acquisto trasparente e rispettoso dei loro diritti.

In generale, una pratica commerciale è scorretta quando, in contrasto con il principio della diligenza professionale, è falsa o è idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore che raggiunge, o al quale è comunque rivolta (art. 20 D. Lgs. 206/2005).

La disciplina si applica alle pratiche commerciali scorrette poste in essere sia prima, che durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.

La legge suddivide le pratiche commerciali in due categorie: quelle ingannevoli e quelle aggressive.

Quali sono le pratiche commerciali “ingannevoli”? (art. 21 Codice del Consumo)

Alcune azioni considerate ingannevoli dall’AGCM sono, ad esempio:

  • quelle che assimilano gli effetti di un prodotto alimentare a quelli attribuibili alle funzioni di un farmaco, avvalendosi di etichette non autorizzate dalla Commissione europea;
  • la diffusione di informazioni non veritiere in merito alla capacità di memoria di prodotti software;
  • la creazione di indebita confusione tra cosmetici e trattamenti di medicina estetica mediante testi e immagini evocative.

Anche certe omissioni sono state sanzionate come “pratiche ingannevoli” dall’AGCM:

  • l’assenza di indicazioni puntuali sul tasso annuo effettivo globale (“TAEG”), in quanto non veniva consentito al consumatore di effettuare un’adeguata valutazione sulla convenienza effettiva di un’offerta finanziaria;
  • l’assenza, nei siti online che offrono servizi di comparazione dei prezzi e di prenotazione voli, di informazioni chiare, trasparenti e immediate sul reale costo del prodotto desiderato e su tutto ciò che è utile per orientare la scelta.

Esiste, poi, un elenco di pratiche elencate dall’art. 23 del Codice del Consumo, che sono considerate sempre ingannevoli, senza che si debba accertare la mancata diligenza e l’attitudine a falsare il comportamento economico del Consumatore, sulle quali si è pronunciato, oltre all’AGCM, anche il Consiglio di Stato (Cons. Stato 14 aprile 2020 n. 2414).

Quali sono le pratiche commerciali “aggressive”? (art. 24 Codice del Consumo)

Una pratica commerciale aggressiva è una condotta invasiva che comporta pressioni, coercizione, molestie o indebito condizionamento e influisce in concreto sulla libertà di scelta del consumatore.

Essa può avere luogo sia nel corso del rapporto contrattuale, sia nella fase di costituzione del vincolo negoziale.

Le pratiche commerciali aggressive non sono necessariamente connotate dal ricorso alla violenza fisica o verbale, ma sono accomunate dal fatto che il consumatore si trova in situazioni di stress che diventano determinanti per la sua decisione.

Ad esempio, il provvedimento dell’AGCM 20303/09 ha sanzionato

  • una procedura onerosa e farraginosa per il rimborso del credito residuo dell’utenza telefonica da parte di una società che agiva condizionando il comportamento del consumatore che intendeva cambiare gestore;
  • la prassi di un noleggio auto di bloccare temporaneamente una certa somma di denaro sulla carta di credito del cliente a garanzia dei danni che l’auto avrebbe potuto subire, inducendo il cliente, per sottrarsi al blocco di denaro sulla propria carta di credito, all’acquisto di prodotti assicurativi accessori.

Cosa può succedere in caso di violazione dei divieti?

Ai sensi dell’art. 27 comma 2 del Codice del Consumo, modificato dall’art. 37 comma 1 lett. a) n. 2 della legge n. 238/2021, in vigore dal 1 febbraio 2022, ogni soggetto od organizzazione che ne ha interesse può fare istanza all’AGCM in caso di pratiche commerciali scorrette affinché l’Autorità ne inibisca la continuazione e ne elimini gli effetti.

L’AGCM può agire anche d’ufficio in forza di poteri investigativi, esecutivi e di richiesta di informazioni, e può ottenere dal professionista responsabile l’assunzione di impegni, imporne l’applicazione e la pubblicazione.

In casi di urgenza l’AGCM può disporre, con provvedimento motivato, la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette.

Il professionista che ha attuato una pratica commerciale scorretta può assumere l’impegno di porre fine all’infrazione utilizzando un apposito modello disposto dall’AGCM.

Quando l’AGCM ritiene la pratica commerciale contraria alle norme del Codice del Consumo, ne vieta la diffusione se l’attività non è ancora stata portata a conoscenza del pubblico, o ne proibisce la continuazione, se la pratica è già iniziata.

Per ogni inottemperanza è prevista l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, da pagare entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento dell’AGCM.

Contro le decisioni dell’AGCM è possibile ricorrere presso il TAR del Lazio per ottenerne l’annullamento, mentre il ricorso in appello si propone davanti al Consiglio di Stato.