Il “caporalato” come reato presupposto ex D.Lgs. 231/2001
Una riflessione sui presidi in grado di prevenire la commissione del reato di “caporalato” e il relativo contenuto (necessario) del Modello di Organizzazione, Controllo e Gestione redatto ai sensi del D. Lgs. 231/2001.
Il caporalato come fenomeno attuale – i “riders”
Ha avuto ampia eco mediatica l’avvio di un’indagine dalla Procura milanese in materia di sicurezza sul lavoro, immigrazione irregolare e casi di caporalato, riguardo all’attività dei c.d. “riders”, quei fattorini che, attraverso società di intermediazione, si occupano di consegnare cibo ovvero altri articoli a domicilio per conto di grandi aziende di distribuzione.
Come è noto, per caporalato si intende “il fenomeno sociale, sempre più diffuso su tutto il territorio nazionale, dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”.
Si tratta di una realtà particolarmente diffusa nel settore della produzione agricola e che, spesso, vede il coinvolgimento di associazioni di stampo mafioso, associazioni dedite al traffico di esseri umani ed allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina.
Nel contesto di tale indagine, la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto, tra l’altro, l’amministrazione giudiziaria ex art. 34 del Codice antimafia della filiale italiana dell’Azienda oggetto di indagine, proprio per caporalato.
Ciò che, in questa sede, rileva è che, tra le varie verifiche effettuate dagli inquirenti, vi è stata quella finalizzata ad individuare l’esistenza del modello organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001 e specificamente – ove pure esistente – la sua idoneità a prevenire il reato ipotizzato, ex art. 603-bis c.p.
Si può, dunque, attualmente parlare di caporalato quando vi è una abituale retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme da quanto previsto dai contratti collettivi nazionali ovvero, in ogni caso, troppo esiguo rispetto alla quantità di lavoro prestato, ovvero il mancato rispetto della normativa relativa all’orario di lavoro o alle ferie o, ancora, della normativa riguardante la sicurezza sul luogo di lavoro, soprattutto nel caso in cui il lavoratore sia costretto a lavorare in situazioni di degrado.
Le modifiche introdotte con la Legge 29 ottobre 2016, n. 199 e il “nuovo” art. 603 bis c.p.
Per inquadrare normativamente la fattispecie, va ricordato che con la Legge 29 ottobre 2016, n. 199, recante «Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo» sono state introdotte rilevanti novità relativamente alla lotta al caporalato.
Con la suddetta Legge sono state, infatti, inserite garanzie per la tutela della dignità dei lavoratori, in particolare quelli agricoli, attraverso la riformulazione della fattispecie di cui all’ articolo 603-bis c.p.
Inoltre, dato particolarmente rilevante in questa sede, con la Legge n. 199 del 29 ottobre 2016, Il Legislatore inserisce il reato di caporalato nel catalogo dei reati presupposto previsti dal D.Lgs 231/2001.
Il 18 ottobre 2016, con la legge n° 199, è stato completamente riscritto l’art. 603 bis del Codice Penale.
La principale novità consiste nella individuazione, come autore del reato di “caporalato”, anche del datore di lavoro che ponga in essere una condotta di sfruttamento del lavoratore, e non più soltanto dell’intermediario.
In secondo luogo non si fa più riferimento ai requisiti dello stato di necessità del lavoratore ed alla violenza, minaccia o intimidazione, che limitavano i confini dell’elemento oggettivo del reato.
Si può, dunque, attualmente parlare di caporalato quando vi è una abituale retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme da quanto previsto dai contratti collettivi nazionali ovvero, in ogni caso, troppo esiguo rispetto alla quantità di lavoro prestato, ovvero il mancato rispetto della normativa relativa all’orario di lavoro o alle ferie o, ancora, della normativa riguardante la sicurezza sul luogo di lavoro, soprattutto nel caso in cui il lavoratore sia costretto a lavorare in situazioni di degrado.
Le ricadute pratiche sul modello organizzativo, di gestione e di controllo ex D.Lgs. 231/2001
Il reato di caporalato, nella nuova formulazione dell’articolo 603-bis c.p., rivela, alla luce della disciplina “231” prevista per l’azienda, una stretta correlazione con i contenuti del modello di organizzazione e gestione di cui la stessa dovrebbe dotarsi preventivamente.
Le società – ed in particolare quelle di media e piccola dimensione – sono, pertanto, chiamate a dotarsi di un Modello organizzativo ex D. Lgs. 231/2001, finalizzato ad individuare e prevenire le condotte illecite di cui all’art. 603-bis c.p.
Tra l’altro, il reato di caporalato ben può vedere, nella medesima vicenda criminale, il concorso materiale o formale di alcuni reati già precedentemente considerati presupposto ex D.Lgs. 231/2001 come, ad esempio, il delitto di “Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare” (articolo 25-duodecies), che potrebbe concorrere nell’ipotesi in cui l’impresa utilizzatrice occupasse alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, sottoponendoli alle condizioni di sfruttamento di cui al 603-bis, ovvero al contestuale concorso del reato di “Omicidio colposo” o “lesioni colpose gravi o gravissime” (articolo 25-septies), qualora si determinasse anche un evento lesivo, oppure la morte del lavoratore straniero privo di permesso di soggiorno, impiegato dall’impresa utilizzatrice in condizioni di sfruttamento. Inoltre, nel quadro criminogeno così dipinto, tutt’altro che inverosimile, il caporalato ben potrebbe configurarsi come uno tra i reati-scopo dei “delitti di criminalità organizzata” di cui all’articolo 24-ter, D. Lgs. 231/2001, commessi anche con i caratteri della transnazionalità, tra cui, “Associazione per delinquere” ed “Associazioni di tipo mafioso anche straniere”.
O, ancora, si pensi alla riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (600 c.p.), alla tratta di persone (601 c.p.), all’acquisto e alienazione di schiavi (602 c.p.).
Alla luce del quadro dei reati presupposto evidenziati sopra, i processi più delicati saranno, senz’altro:
1) il processo di ricerca, assunzione e inserimento del personale e il processo di gestione dei fornitori: occorre porre attenzione sugli aspetti retributivi, sulle ferie e sui turni di riposo. I lavoratori dovranno essere inquadrati con contratti che rispettino almeno le condizioni di lavoro e il salario minimo dell’ultimo contratto collettivo nazionale CCNL sottoscritto.
2) Il processo di individuazione dei fornitori: nell’ambito degli accordi commerciali con gli stessi, occorrerà esigere la trasmissione di tutta la documentazione che possa risultare utile alla verifica del rispetto della normativa da parte dei partner commerciali, in particolare della clausola relativa all’obbligo di rispettare il Modello Organizzativo ed il proprio Codice Etico.
3) Il processo relativo alla sicurezza sui luoghi di lavoro, soprattutto in merito alla conformità delle procedure previste dal Modello rispetto alla normativa prevenzionistica, in particolare di cui al D. Lgs. n. 81/2008, cosiddetto testo unico sicurezza sul lavoro.
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